Campo antibracconaggio
Il campo antibracconaggio si svolge dalla fine di settembre all’inizio di novembre. Vi partecipano decine di volontari provenienti da tutta Europa che giornalmente perlustrano la provincia di Brescia in cerca delle trappole per gli uccelli migratori, soprattutto reti, archetti e le sep, trappole utilizzate tradizionalmente per catturare i topi. Le zone dove si trovano le trappole vengono segnalate ai Carabinieri Forestale o ai Carabinieri che dopo appostamenti e indagini individuano e denunciano il bracconiere.
Diario di 3 giorni di antibracconaggio nelle Valli Bresciane con i volontari della Lega Abolizione Caccia
Capanni di caccia a Brescia e la lotta alle illegalità
L’attività di caccia da appostamento fisso è una forma di caccia piuttosto diffusa in Italia ma poco conosciuta dal grande pubblico: sono quasi 8.000 le strutture utilizzate dai cacciatori bresciani per abbattere uccelli attirati da richiami: vivi, acustici e meccanici.
Quando l’obiettivo del cacciatore sono gli uccelli migratori o comunque quelli che non hanno abitudini strettamente terrestri (come il fagiano o la starna che volano solo se costretti da un imminente pericolo) diventa difficile cacciare muovendosi per il territorio e sperando di arrivare a distanza utile di tiro. La tecnica più efficace (e comoda) è quella di starsene seduti in un capanno, nascosti e aspettare che siano gli animali, attirati con diversi strumenti, ad avvicinarsi a distanza sufficiente per abbatterli.
Questo tipo di caccia viene definito “da appostamento” proprio perché il cacciatore non cerca, magari con l’ausilio del cane, la preda, ma si apposta e l’attende.
La Toscana è la regione con la più alta densità venatoria, al secondo posto segue la Lombardia (56.218 – anno 2020), ma Brescia detiene il primato nazionale come provincia non solo per il più alto numero di cacciatori (20.000 -anno 2020) ma anche di capanni (8.000- anno 2020).
A seconda delle specie di animali che si intendono cacciare, ci possono essere appostamenti di caccia in qualsiasi tipo di ambiente. Si possono poi trovare appostamenti in montagna, collina e piena pianura oltre che nelle zone umide, lungo i fiumi o direttamente sull’acqua (foto capanno in Val Trompia e sul lago di Iseo).
Non sono solo i richiami ad attrarre verso il capanno gli uccelli, ma anche la sua predisposizione per renderlo il più possibile invitante ai loro occhi. Per questo motivo in molti appostamenti fissi, nella zona adiacente al capanno vi è la coltivazione e la potatura di piante che possano attirare coi loro frutti gli animali, la loro disposizione e la cura affinché i rami più bassi si sviluppino in orizzontale per fungere da posatoi agli uccelli. Vi è un’alterazione dello stato dei luoghi. Un’altra caratteristica degli appostamenti fissi di caccia sono i prati perfettamente rasati: questo serve a trovare con maggiore facilità di animali abbattuti.
Brescia dimostra ancora quanto la potenza della lobby venatoria riesca a far dimenticare agli enti locali che gestiscono la fauna selvatica (prima province ora Regioni) precise norme di legge, vediamone alcune:
Valichi assediati da capanni
Là dove per motivi orografici si concentrano i flussi dell’avifauna migratrice, come sui valichi montani, si concentrano gli appostamenti di caccia benché per legge proprio in quei luoghi dovrebbe essere vietata la caccia: “La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi” (L.157 del 1992, Art.21 C.3).
La Provincia di Brescia sin dalla entrata in vigore della 157 nel 1992 si é sottratta al dovere di segnalare e proibire la caccia ai migratori sui valichi piú importanti del suo territorio, proteggendo valichi di minore importanza (Monte Cretoso, Monte Fra, Passo della Puria, Passo Scarpapè, Passo della Berga, Passo della Spina, Passo delle Portole, Monte della Piana e Malga Mala, nessuno dei quali successivamente riconosciuto dall’INFS come fondamentale per i flussi migratori), ma lasciandola aperta sulle „autostrade migratorie“, soprattutto il Passo del Maniva e Colle San Zeno, da sempre siti privilegiati per la caccia alla migratoria.
Nello stralcio cartografico seguente viene riportata ad esempio, la località del valico di Colle San Zeno (cerchio in rosso): in giallo sono indicati solo una parte degli appostamenti fissi autorizzati esistenti, quelli che finora sono stati georeferenziati dalla Provincia. Risulta chiara la concentrazione di capanni in quello che rappresenta uno stretto imbuto tra la Val Camonica e la Val Trompia, un collo di bottiglia nel quale l’avifauna si concentra per proseguire nel proprio viaggio: tutt’oggi, nonostante sia vietato dalla legge nazionale, è possibile la caccia da appostamento fisso alla migratoria e caccia alla beccaccia con l’uso del cane.
Mancanza di trasparenza e omissioni dati dei capanni
Elemento fondamentale è sapere dove si trovano questi appostamenti: la Provincia per anni non adempie alle richieste di accesso agli atti della LAC (coordinate geografiche obbligatorie per legge e numeri di autorizzazione) degli appostamenti fissi. Nonostante i ricorsi al Difensore Civico regionale, esposti e denunce alla Procura della Repubblica, l’Ufficio Caccia e Pesca della Provincia si rifiuta ripetutamente con palesi pretesti (dato sensibile, dato non ambientale, richiesta generica di accesso, ecc.) finché, a seguito dell’intervento della P.G. operante , destinataria di specifica delega d’indagine della Procura presso gli Uffici di Caccia e Pesca (settembre 2013), tale accesso atti è stato poi, in parte, concesso.
In seguito alla ricezione parziale dei sopracitati dati (solo poco più della metà dei capanni erano corredati di coordinate geografiche e avevano quindi una localizzazione certa) , si è potuto comunque verificare centinaia di illegittimità dell’Ufficio Caccia della Provincia, allora competente, nel rilascio di varie autorizzazioni degli appostamenti, soprattutto in tema di mancato rispetto delle distanze (violazioni della LR 26/93) e anche in questo caso, nonostante molteplici solleciti, diffide e impugnazioni della LAC per revocare gli appostamenti denunciati come irregolari, i funzionari non rispondono o danno risposte defatigatorie o prive di costrutto e fondamento giuridico mantenendo un atteggiamento ostruzionistico e violando sistematicamente diverse leggi sulla trasparenza e di diritto di accesso agli atti ambientali (L.195/2005). Nonostante questo, tra il 2015 e 2016 vengono faticosamente revocati e in parte spostati, centinaia di appostamenti, e riusciamo (dopo un ricorso all’ARAC – Autorità Regionale Anti Corruzione) a far pubblicare sul sito della Regione l’elenco degli appostamenti (dato ambientale). Nel frattempo i politici vengono chiamati in causa dai migratoristi e corrono ai ripari cambiando a più riprese, la legge regionale n.26/93 e allargando le maglie sulle distanze, autorizzazioni, vincoli e titolari: basta infatti guardare le decine di modifiche che ha subito nel giro di pochi anni l‘art.25 della LR 26/93 che disciplina l”Esercizio venatorio da appostamento fisso e temporaneo” per rendersene conto. Ad oggi (2020/21) permane una situazione lacunosa, manca la pubblicazione degli elenchi dei capanni di tutte le province lombarde e ancora non si ha una localizzazione certa (mancanza di coordinate e coordinate errate) per molti appostamenti bresciani, nonostante sia obbligatorio per legge.
Parziale georeferenziazione degli appostamenti fissi di caccia
Ad oggi moltissimi sono gli appostamenti fissi (soprattutto in determinati Comuni “roccaforte del bracconaggio” come Lumezzane, Serle) che ancora non risultano georeferenziati nonostante siano già stati rinnovati e nonostante l’utilizzo delle coordinate geografiche degli appostamenti fissi di caccia siano state introdotte nel 2010 da legge regionale “Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26” (L.R. n.17/2010). Modifica art.25 comma 5: “L’autorizzazione per la caccia da appostamento fisso è rilasciata dalla Regione o dalla provincia di Sondrio per il relativo territorio e ha validità per dieci anni, salvo revoca o subentro di persona diversa nella titolarità della stessa; la domanda deve essere corredata da georeferenziazione GPS, ovvero da planimetria in scala 1.10.000, indicante l’ubicazione dell’appostamento, (…).”
La finalità delle coordinate geografiche è di discernere in maniera univoca sul territorio i capanni autorizzati, spesso mimetici e di difficile localizzazione e di riconoscere, poi, quelli abusivi.
Illeciti Ambientali
Gli illeciti che riguardano i capanni possono essere suddivisi in due categorie: ambientali e venatori .
Per quanto riguarda gli ambientali, da una sommaria indagine è emerso che gran parete degli appostamenti vengono per lo più costruiti in assenza di un titolo abilitativo rilasciato dal comune e/o in assenza dell’autorizzazione riguardante il vincolo paesaggistico (violazione della S.C.I.A. Segnalazione Certificata di Inizio Attività, legge n. 122/2010 e nullaosta paesaggistico in aree vincolate). Il rilascio di uno specifico nullaosta paesaggistico deve essere preceduto da congrua istruttoria (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1047), e adeguatamente motivato con l’enunciazione dell’attività istruttoria che ha portato alla concreta valutazione di compatibilità paesaggistico-ambientale dell’intervento proposto (vds. Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 657; Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 1997, n. 1303; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1047). Inoltre un capanno che ricade in aree SIC , ZSC o ZPS oltre alla procedura sopra prevista è soggetto anche alla valutazione di incidenza ambientale. Un esempio tra questi la presenza di decine di capanni nel SIC, Monumento Naturale Altopiano di Cariadeghe, (comune di Serle) in cui sono state svolte indagini dalla Procura per denuncia depositata dalla LAC .
Spesso si pensa erroneamente che i capanni siano legittimi solo in forza di una autorizzazione regionale. L’articolo 14 della legge statale n. 157/1992, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” disciplina la “gestione programmata della caccia” e il comma 12 stabilisce che: “Le province autorizzano la costituzione ed il mantenimento degli appostamenti fissi senza richiami vivi, la cui ubicazione non deve comunque ostacolare l’attuazione del piano faunistico-venatorio. Per gli appostamenti che importino preparazione del sito con modificazione e occupazione stabile del terreno, è necessario il consenso del proprietario o del conduttore del fondo, lago o stagno privato…”.
Una ulteriore conferma viene dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 139 del 13 giugno 2013, che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge regionale 6 luglio 2012, n. 25 (Veneto) nelle parti in cui esenta gli appostamenti per la caccia (capanni, altane) dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e dal titolo abilitativo urbanistico-edilizio (D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).
Dal punto di vista paesaggistico, potrebbe accadere che le aree sulle quali i capanni vengano costruiti, essendo aree boscate, siano sottoposte al vincolo paesaggistico, ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera g) del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. In queste aree la costruzione di un capanno sarebbe sicuramente assoggettata al preventivo rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 146 del codice (non rientrando tra i casi di interventi non soggetti ad autorizzazione di cui all’articolo 149 del codice stesso).
La mancanza di autorizzazione paesaggistica (che non può essere rilasciata in sanatoria), comporta l’applicazione della sanzione amministrativa della rimessione in pristino di cui all’articolo 167 del codice e l’ulteriore reato di cui all’articolo 181 del codice (che rinvia all’articolo 44, comma 1, lettera c) del D.P.R. n. 380/2001), reato che si aggiunge e non viene assorbito da quello di cui all’articolo 44, comma 1, lett. b), già citato sopra.
In Italia, fino all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967 n. 765, per costruire un fabbricato all’esterno del centro abitato non era necessario ottenere preventivamente una licenza edilizia, che ai sensi dell’art. 31 della Legge 1942 era necessaria soltanto per gli edifici realizzati all’interno del centro abitato.
Venendo al caso degli appostamenti per la caccia realizzati prima del 1 settembre 1967 (entrata in vigore della legge 765/1967), va notato che questi sono stati realizzati in vigenza di un regime giuridico che non richiedeva né il titolo edilizio né l’autorizzazione paesaggistica ed è da ritenere pertanto che anche oggi essi siano pienamente legittimi, assumendo i connotati di una vera e propria stabile costruzione. Ovviamente, è necessario che i capanni, per mantenere il loro status originario, anche se sottoposti alle normali manutenzioni, non siano stati oggetto di rifacimenti integrali o di ampliamenti.
Nella provincia di Brescia molti appostamenti sono costruiti tanto da essere vere e proprie seconde case, villette (con bagno, cucina, camera da letto) oppure più semplici, ma opere irremovibili con ferro, legno, plastica, lamiere e teli e/o con basi cementate e/o allacciamenti e opere di urbanizzazione, nonché di “attrezzature per il riscaldamento”. (es. Con modifiche dell’andamento naturale del terreno per realizzare pavimentazioni, allacciamento tecnologico per servizi di luce, acqua, riscaldamento e scarico di acque; ecc).
Costruiti sia nei boschi sia sui crinali, dove si concentra la migrazione dei passeriformi, i capanni comportano modificazioni irreversibili allo stato dei luoghi, nel senso che viene alterato in modo permanente il terreno su cui vengono istallati; il loro allestimento presuppone infatti alterazioni morfologiche dei terreni, modifiche agli assetti vegetazionali, alterazioni al sistema drenante superficiale;
Gli appostamenti sono realizzati con taglio di grossi rami ed alberi per aprirsi un fronte, la possibilità di avere una linea di tiro a 360 gradi, tutto ciò togliendo al paesaggio importanti parti di natura che costituiscono un patrimonio di tutti, compresi turisti ed escursionisti che annualmente visitano i boschi della Provincia. Sono poi centinaia le vecchie postazioni abbandonate nel più totale degrado con pezzi pericolosamente arrugginiti e penzolanti e migliaia i bossoli e borre abbandonati sul suolo.
Di seguito si riporta come esempio, uno stralcio di Google Earth del SIC e Monumento naturale Altopiano di Cariadeghe (comune di Serle): sono visibili dall’alto le alterazioni morfologiche del territorio del sito Rete Natura 2000 dovute ai numerosi appostamenti (in larga parte non georeferenziati), che creano vistosi “buchi” nel paesaggio.
Mancanza di una Valutazione di Incidenza sugli appostamenti fissi interni e limitrofi ai siti Rete Natura 2000.
La valutazione d’incidenza si applica sia ai piani o progetti che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 (o in siti proposti per diventarlo), sia a quelli che pur sviluppandosi all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.
Ai sensi dell’Art. 6, paragrafo 3 della Direttiva Habitat “qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.”
Il piano faunistico provinciale approvato nel 1996 con le sue modifiche e integrazioni, non è mai stato sotto posto né alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica, né alla Valutazione di incidenza, e si presta a diventare un facile strumento di elusione e violazione della normativa vigente in materia di siti di Natura 2000.
Ne consegue che, fino ad oggi, sul territorio della Provincia di Brescia non è mai stata eseguita alcuna valutazione in merito ai possibili effetti della pratica venatoria sull’ambiente naturale e sulle sue componenti, ed in particolare, in relazione ai possibili effetti negativi del prelievo venatorio sui SIC, ZSC e sulle ZPS, data l’importanza della funzione di conservazione della biodiversità assolta da queste aree, non a caso, tutelate a livello comunitario.
Non è possibile ipotizzare che un’attività come quella venatoria da capanno, che oltre ad incidere sulle consistenze numeriche faunistiche, comporta la presenza dell’uomo, l’emissione di rumori e l’immissione di piombo quale materiale di munizionamento, non possa avere effetti incisivi significativi in ecosistemi caratterizzati da un’estrema delicatezza quali quelli considerati.
Su nostra denuncia (insieme al GRIG Gruppo intervento Giuridico Onlus) la Commissione Europea ha aperto la procedura di indagine EU Pilot 6730/14/ENVI “diretta ad accertare se esista in Italia una prassi di sistematica violazione dell’articolo 6 della direttiva Habitat” a causa di svariate attività e progetti realizzati in assenza di adeguata procedura di V.INC.A., fra cui anche l’attività venatoria a mezzo di appostamenti fissi presso la Riserva naturale, S.I.C./Z.P.S. “Torbiere del Sebino” presso il Lago d’Iseo (nota prot. n. ENV.D.2/LS/vf/EU-Pilot/6730/14/ENVI del 15 luglio 2014); Grazie alla VIncA e nonostante i titolari siano ricorsi al Consiglio di Stato (prendendo una sonora bastonata), i capanni a lago prospicenti la Riserva Naturale (vedi in foto) sono stati revocati, tuttavia la VIncA è stata redatta in modo parziale, prendendo come riferimento solo la parte a Nord del sito, escludendo una ventina di appostamenti fissi a meno di 1.000 metri dal confine del ZSC ZPS e l’impatto dell’attività dei vagantisti.
Appostamenti fissi di caccia nelle aree percorse da fuoco
Negli ultimi anni sono andati in fumo nella Provincia di Brescia migliaia di ettari, la stragrande maggioranza dei quali erano di origine dolosa. Anche se in ritardo, molti comuni bresciani hanno già adottato il catasto incendi e deliberato vincoli come previsto dalla legge 21.11.2000 n.353 “Legge Quadro in materia di incendi boschivi”, legge che all’Art. 10 comma 1, prevede: “(…) Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia.”
Tale divieto è contenuto anche nella LR 26/93, art.43, lettera m) : “cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve e nei piccoli specchi di acqua circostanti, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, e nei territori delle comunità montane e su terreni pregiudicati da incendi per un minimo di due anni”.
Non esiste un piano faunistico regionale, il piano faunistico venatorio della Provincia di Brescia è stato approvato in data antecedente al 2006 e non istituisce il prescritto divieto di caccia nelle zone boscate già interessate da incendi, atteso che tale l’obbligo è stato invece confermato dal TAR Lombardia – Brescia e confermato dal Consiglio di Stato che per detta carenza ha sospeso il Piano faunistico della Provincia di Bergamo- ci si chiede come mai la Direzione Agricoltura della Regione (istanze e interrogazioni andate a vuoto) non preveda almeno nelle disposizioni integrative annuali al calendario venatorio, le zone boscate interessate da incendi boschivi vietate alla caccia.
Tale divieto comunque non è subordinato alla individuazione di tale aree con qualche specie di atto formale, segnatamente in un catasto da istituire a cura dei Comuni ( TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II – 9 aprile 2010, n. 1532). L’operatività di detto divieto è stato anche confermato da TAR Liguria, I, n.225/2003 e confermato anche da CSt, V, 1.07.2005, n.3674 (“Codice dell’Ambiente” di Stefano Nespor, Ada Lucia De Cesaris, Giuffrè Ed.).
Appostamenti fissi nella zona A di Maggior Tutela dei Comprensori Alpini
La provincia di Brescia è l’unico territorio in Regione Lombardia che ha permesso l’istituzione di appostamenti fissi in zona A di maggior tutela creando piani ex provinciali disallineati. La Regione Lombardia non ha un piano faunistico e neanche le Consulte faunistiche venatorie si sono istituite (art.16 LR26/93). Inoltre diversamente da altri piani faunistici provinciali la Provincia di Brescia, non ha nemmeno ottemperato al precetto di dotarsi di un apposito piano faunistico-venatorio, che certamente si diversifica dal Piano Faunistico Venatorio Provinciale di cui all’art. 10 della L. 157/1992 e omette quanto disposto dalla norma vigente di cui all’art. 14 comma 1 lett. l) della L.R.26/93 non tanto “l’identificazione delle zone in cui sono collocati e collocabili gli appostamenti fissi”, quanto per la valutazione della loro compatibilità con gli obiettivi di protezione della fauna.
Normative venatorie: Violazione della L. n. 157/1992 e della L.R. 26/1993
Mancato rispetto delle distanze da case, strade e da altri appostamenti.
Riserva Naturale Orientata, sito Rete Natura 2000 “Torbiere d’Iseo” (BS) e caccia
Dopo un esposto della Lac per la presenza di appostamenti fissi di caccia (capanni) intorno al sito di Rete Natura 2000 Torbiere d’Iseo, sito classificato dall’Europa come Zona Speciale Conservazione (ZSC) e Zona di Proprezione Speciale (ZPS) nonchè zona Ramsar (zona umida di importanza internazionale) e, secondo la normativa italiana, Riserva Naturale Orientata, è stata aperta una procedura Pilot d’infrazione alla Commissione Europea per i possibili impatti dell’attività di caccia sulla zona umida protetta.La Regione Lombardia e l’ente gestore (che ha una competenza diretta sulla tutela come da Statuto) sono stati così obbligati a far fare una valutazione d’incidenza che ha portato alla revoca dei capanni agli acquatici.
https://www.quibrescia.it/cms/2017/09/06/torbiere-niente-capanni-di-caccia-intorno-a-riserva/
I cacciatori titolari degli appostamenti sul lago hanno fatto ricorso prima al Tar e poi non contenti, al Consiglio di Stato dove hanno preso un’altra sonora bastonata:
www.bresciaoggi.it/territori/sebino-franciacorta/fucilate-davanti-alle-torbiere-un-doppio-stop-per-i-cacciatori-1.6888302
La Riserva naturale che si estende dal lago di Iseo verso la Franciacorta, è però circondata da un’altra trentina di appostamenti fissi a meno di 1.000 metri dal suo confine e dall’attività dei vagantisti. La valutazione d’incidenza che ha l’attività di caccia avrebbe quindi dovuto considerare (anche per consolidata giurisprudenza della Corte europea) tutti gli appostamenti e non solo quelli a lago perché l’impatto venatorio (caccia da appostamento e vagante) è cumulativo e complessivo su tutto il sito : cosa che non è mai stata fatta.
A ridosso, lungo il confine dell’area protetta ci sono sempre i cacciatori in vagante che mettono a rischio l’incolumità pubblica dei fruitori della riserva, ciclisti, ecc.
In queste foto l’eredità dell’attività venatoria effettuata per decenni in quell’area. Pezzi di capanni galleggianti abbandonati e sedimentati da tempo, bossoli e stampi di anatidi galleggianti, gabbie arrugginite e quintali di pallini di piombo ormai sedimentati.
Come rivalsa i cacciatori hanno:
-Nominato come presidente della Riserva una nota esponente del mondo venatorio Emma Soncini (titolare di licenza di caccia che si era candidata alle europee per portare le loro istanze) che non ha più rinnovato le convenzioni di vigilanza (gratuita) con le associazioni ambientaliste : LAC, Legambiente, Oipa.
-Nel 2019 c’è stato ricambio dell’ente gestore: è stato votato come presidente della Riserva (Gianbattista Bosio) un altro cacciatore (praticante), da quanto ci risulta titolare di appostamenti fissi a ridosso della riserva, oltre a lui anche 2 dei 3 componenti del Consiglio di gestione anche loro cacciatori: con il risultato che a gestire la Riserva 4 su 5 saranno cacciatori, ciò non era mai avvenuto nei quasi quarant’anni dall’istituzione della Riserva. Abbiamo promosso anche interrogazione parlamentare (in allegato)
Nell’ ultimo anno la Riserva è allo sbando, 360 ettari di sito Natura 2000 lasciati allo sbando, senza vigilanza e controllo, senza una vera linea di gestione sul medio lungo periodo, asserragliata da cacciatori/bracconieri/pescatori/inquinatori che ne fanno ciò che vogliono. Così, in 10 associazioni ambientaliste abbiamo inviato una lettera di “Vertenza” alle istituzioni (in allegato).
La risposta dell’assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi di Regione Lombardia, Fabio Rolfi, è imbarazzante ( sul suo blog a seguito delle lamentele emerse per le dubbie nomine del consiglio nel 2019 chiamava la Riserva naturale: “Parco delle Torbiere”) che nuovamente dimostra di non conoscere minimamente ne il territorio ne le sue criticità. Risponde infatti che dei vari punti sollevati dalle associazioni non emergono criticità e nega qualsiasi confronto con le associazioni, benché da tempo richiedano un tavolo di confronto istituzionale.
Invitiamo l’assessore a venirci davvero in Riserva, lo accompagnamo, magari con giubbino catarifrangente un sabato mattina mentre piovono colpi di fucile come se fosse una Riserva di Caccia. Cosa in cui probabilmente lui e la sua cricca vorrebbero trasformarla.