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E’ senza dubbio l’eleganza la dote migliore dei cacciator-bracconieri.

Non solo, naturalmente, di quelli bresciani.

Poi va anche detto che se si devono difendere imparano in fretta, facendo propri i metodi mafiosi. Quegli stessi metodi che qualcuno utilizza da anni in Valcamonica, e non solo, per sottolineare il peso del “clan” quando qualcuno si permette di violare le regole.

Così, ciò che resta dopo la macellazione di una femmina di capriolo appesa a un cancello è insieme un avvertimento e un gesto di scherno nei confronti delle forze di polizia ambientale.

Un avvertimento verso chi si permette di testimoniare contro i bracconieri, e uno scherno verso chi – la polizia provinciale di Brescia in questo caso – si prende il lusso di denunciare ben cinque piccoli mafiosi con licenza di caccia che nei giorni scorsi avevano abbattuto proprio due caprioli, ammazzandoli tra l’altro con scariche di pallettoni, non con proiettili a palla singola moltiplicando così la loro sofferenza.

Non fa niente se la denuncia multipla è avvenuta in Valsabbia mentre Bienno è in Valcamonica: non ci sono confini che tengano quando bisogna mandare messaggi; quando bisogna riaffermare il principio di impunità che per questa squallida categoria sociale è sempre esistita, e che adesso, grazie all’abbattimento graduale di tutte le tutele della fauna  selvatica attuate da Governo e Regioni per pagare la cambiale elettorale, rischia di diventare una certezza senza eccezioni.
Condanniamo ovviamente queste scene da Paleolitico allestite – lo ricordate il refrain? – dai soliti cittadini modello incensurati che pagano le tasse, e
continuiamo la nostra battaglia per la legalità (e la decenza), sul piano del contrasto dell’illegalità che diventa politica nelle aule dei tribunali, e sul campo trovando, segnalando e facendo denunciare i bracconieri: lo stiamo facendo proprio in questi giorni a Brescia, e i risultati non mancano.
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