UCCELLATORE BRESCIANO CONDANNATO PER IL DELITTO DI USO ABUSIVO DI SIGILLI E MALTRATTAMENTO ANIMALI
Sei mesi di reclusione e 200 euro di multa.
Parole e decisioni confortanti ogni tanto, nonostante le pene non severe, che riaprono spiragli sulla volontà della magistratura di applicare davvero le leggi anche nei confronti di una categoria dotata di tanti salvagente politici prima ancora che giudiziari: quella dei cacciatori-bracconieri.
La condanna è il risultato di un patteggiamento, quindi di una ammissione di responsabilità.
E non poteva che essere così visto che il condannato è stato preso letteralmente con le mani nelle reti del suo enorme impianto di cattura recintato scoperto dai nostri volontari nel Bresciano, in Valtrompia, durante il campo antibracconaggio condotto dalla LAC nell’autunno del 2022.
L’uccellatore, e cacciatore (aveva anche lasciato un fucile carico incustodito nel suo sito di cattura) aveva trasformato il retro della sua villa, appunto recintata e protetta anche da un’alta siepe che nascondeva lo spettacolo alla vista, in un vero roccolo dotato di sette reti, spauracchi, abbeveratoi artificiali, richiami elettroacustici e numerose gabbie con decine di uccelli da richiamo protetti e non.
Era chiaramente un trafficante di avifauna, capace di manipolare gli anellini che gli venivano forniti, come sempre senza alcun controllo, dalle associazioni di ornicoltori in quanto allevatore; ovviamente finto.
Ed è proprio per la sua attività di manipolatore, oltre che per il reato di maltrattamento degli animali, riscontrato grazie ad alcuni tordi che sbattendo nelle mini gabbiette in cui erano reclusi si erano letteralmente devastati le ali, che il personaggio è stato condannato.
Un fornitore in meno sul colossale mercato nero degli uccelli vivi e morti. E una sentenza che fa giurisprudenza anche per gli altri in attesa di giudizio.
I punti salienti della sentenza n. 863 del G.U.P. di Brescia
Rimaneggiare gli anelli identificativi degli allevatori per infilarli alle zampe di richiami vivi, appartenenti ad esemplari selvatici di uccelli catturati in natura, configura il delitto di uso abusivo di sigilli, previsto e punito dall’art. 471 del Codice Penale.
Costringere in gabbia tordi “privandoli del volo e dei comportamenti tipici della selvatichezza, per crudeltà e senza necessità” cagionando l’amputazione di arti e appendici in vani tentativi di volo, configura il delitto di maltrattamento di animali.“
Nella sentenza del G.U.P. si legge – tra l’altro- che l’imputato, che ha patteggiato la pena, “essendosi procurato dei veri anelli identificativi per uccelli (sigilli e strumenti di pubblica autenticazione per certificare la cattività degli animali) attraverso il loro rimaneggiamento con l’uso di pinze e punte coniche, ne faceva uso abusivo riuscendo ad infilarli sulle zampe di 21 uccelli di provenienza selvatica”.
L’alterazione o la contraffazione degli anelli identificativi apposti ai richiami vivi ad uso venatorio, per simulare la nascita in cattività di esemplari selvatici catturati illecitamente in natura, costituisce tuttora il presupposto fraudolento per alimentare un mercato lucroso che vanta appoggi politici ed associativi ancora duri a morire.