Con ordinanza n. 16330 del 29 aprile scorso la VII Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la pena di 7 mesi e 10 giorni di reclusione, oltre a 1.800 euro di multa, già inflitta in appello ad M.P. per una serie di reati di bracconaggio. M.P., denunciato dalla Polizia Provinciale di Brescia, aveva abbattuto un camoscio in periodo di divieto generale, con utilizzo di silenziatore, alterando l’arma a cui era stata aggiunta una filettatura sulla canna proprio per consentirne l’inserimento. La condanna riguardava infatti la caccia in periodo di divieto ad esemplare di tipica fauna alpina, anche con uso di mezzo vietato, porto illegale di arma comune da sparo, alterazione di arma (una carabina calibro 223).
I giudici hanno sentenziato, tra l’altro, che “nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura di elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito”.
Le valli bresciane sono l’epicentro del bracconaggio in Italia e nel Mediterraneo: alti profitti e bassi rischi favoriscono il fiorente mercato nero. Le leggi a tutela della fauna selvatica valgono a malapena la carta sulle quali sono scritte, se non ci sono controlli efficaci e pene adeguate. Purtroppo le pene contro questi crimini sono irrisorie (quasi sempre il semplice pagamento di una multa) e risalgono al 1992. Nonostante la preziosa presenza di pochi agenti della Polizia Provinciale e dei Carabinieri Forestali, le unità sono molto piccole e con risorse limitate: sia in termini finanziari che in termini di personale e nel corso degli ultimi anni si assiste ad un loro costante indebolimento e come conseguenza bracconieri e uccellatori rimangono spesso indisturbati e impuniti.
La Lac- Lega Abolizione Caccia, attraverso indagini sul campo e le costituzioni di parte civile nelle aule dei tribunali, plaude a questa sentenza e si augura che come in questo caso, la magistratura continui a valorizzare il duro lavoro degli agenti e dei militari a favore della biodiversità, imponendo sanzioni esemplari ai denunciati e non invece escludendone la punibilità per tenuità del fatto, come troppo spesso accade.