Stagione venatoria 2017/18

16 settembre 2017 – Comunicato stampa

Apertura della stagione di caccia 2017/18, tra assurdità e contraddizioni

   L’apertura generale della stagione venatoria 2017/18, prevista un’ora prima dell’alba di domenica 17 settembre, ripropone tutte le problematiche della gestione faunistica assurda e scalcinata portata avanti dalle Regioni, nel silenzio colpevole del Ministero dell’Ambiente.

   I cacciatori in Italia, circa 570.000 complessivamente secondo gli ultimi dati aggiornati, sono ancora troppi, seppur fortemente calati di numero negli ultimi decenni, per lo scarso interesse delle nuove generazioni in un’attività che ripropone un contatto distorto ed anacronistico con la ruralità ed il patrimonio naturale.

   Ignorato colpevolmente, nel silenzio governativo, il documento scientifico dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), organismo pubblico  che ha invitato le Regioni a posticipare l’apertura della caccia e limitare la pressione sulle specie migratici, sui giovani nati delle specie di piccola fauna stanziale, e la pressione venatoria nelle zone umide (laghi, stagni, paludi, ecc.); ciò per effetto dei danni alle popolazioni selvatiche apportati dalla prolungata siccità e dagli incendi (il divieto venatorio per 10 anni vale solo per le aree boccate percorse dal fuoco, non per gli altri ambienti).

   Ricordiamo come l’art. 842 del codice civile consenta ancora al cacciatore di entrare nel fondo rurale altrui, anche contro il volere del proprietario, a meno che questo non sia perimetrato da una  costosa recinzione o muro alta almeno 120 centimetri; un sopruso giuridico nei confronti dei proprietari dei terreni che non vorrebbero spari e segugi vaganti nei paraggi delle abitazioni di campagna. Per sparare in direzione di una casa, di un luogo di lavoro , di un ferrovia o di una strada occorrerebbe una distanza minima, se si usa il fucile con canna ad anima liscia, di almeno 150 metri; ma si tratta della violazione amministrativa più frequente nel panorama venatorio italiano.

   Al cacciatore con licenza è consentito dalla legge 157/92 di detenere un numero di armi lunghe da caccia illimitato; può anche custodire in casa, senza licenza di porto di arma corta, sino a tre pistole o rivoltelle, norma del 1975 francamente incomprensibile. Il cacciatore può detenere sino a mille cartucce a pallini senza obbligo di denuncia all’autorità di pubblica sicurezza (devono essere denunciate le cartucce a pallini eccedenti sino ad un massimo totale di 1.500, o qualunque numero di munizioni a palla unica, come quelle per le carabine).

   La LAC contesta anche la serietà degli esami di abilitazione all’attività venatoria, visto l’inaccettabile numero di incidenti con morti e feriti che ha caratterizzato anche le ultime stagioni venatorie (due morti già nei primi giorni, a causa delle aperture anticipate ad alcune specie).

   Purtroppo la pressione migratoria si concentra in prevalentemente sul patrimonio internazionale costituito dalle specie migratrici (tordi, anatre selvatiche, colombacci, beccacce, allodole, ecc.), per le quali l’Italia, per la posizione che occupa nel Mediterraneo, avrebbe le maggiori responsabilità di conservazione nel contesto europeo.

   Ad aggravare la situazione generale i pasticci creati da governo e parlamento alla struttura della vigilanza venatoria ed ambientale: 

– il caos creato dalla riforma Delrio e dalla legge Madia agli storici servizi di polizia provinciale, con agenti esperti nell’antibracconaggio forzatamente esodati verso altre amministrazioni pubbliche, tagli di fondi operati dalla legge di stabilità 2015 e blocco del turnover in corso da 7 anni;

– l’assorbimento ed assottigliamento dell’ex Corpo Forestale dello Stato (confluito dal 1 gennaio nei Carabinieri, con parziali mobilità anche verso altre strutture statali), che distoglie il personale anche su compiti diversi dalla tutela ambientale.

Lega per l’Abolizione della Caccia (LAC) – Ufficio Stampa

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